Dal concetto di competenza alla valutazione
La letteratura presenta diversi modi di definire e considerare la competenza evidenziando un passaggio da un concetto astratto di bagaglio individuale di saperi, capacità personali, esperienze, ad una visione dinamica di competenza derivante dall’agito delle risorse dell’individuo, contestualizzate e finalizzate ad un determinato obiettivo.
Partendo dal principio di Le Boterf, per “fare bene” (in modo adeguato, eccellente…) un’attività, assolvere ad un compito e raggiungere gli obiettivi prestabiliti è necessario essere “competenti”; essere “competenti” e adeguati in un determinato ruolo all’interno di un’organizzazione risiederà nel saper mobilitare le risorse (competenze) necessarie (sapere, saper fare, saper apprendere, saper agire, volere agire), non solo possederle.
E’ difficile pensare ad una performance di eccellenza solo per il fatto intrinseco di avere competenze consolidate: se per mancanza di obiettivi, motivazione e/o contesto favorevole ecc.. non riesco ad attivarle, queste possono rimanere un capitale infruttuoso sia per l’individuo che per l’organizzazione. Al contrario, potrebbe accadere che competenze meno consolidate producano performance superiori se opportunamente combinate e agite e/o “spinte” da una motivazione forte, e/o supportate da un orientamento all’obiettivo e all’apprendimento ecc….
La competenza è un “saper agire” che si traduce e manifesta concretamente tramite azioni e comportamenti in risposta alle richieste di una particolare posizione e di un particolare contesto organizzativo. Per esprimersi è indispensabile che le condizioni del contesto siano compatibili con i comportamenti da attivare, per esistere deve essere riconoscibile e riconosciuta, pertanto “necessita del giudizio altrui (Le Boterf, 1995)” .
Poiché la “competenza in sé o come capacità combinatoria” è difficile da rilevare/osservare direttamente, ma si può solo inferire, la valutazione dovrà scaturire da un’osservazione sistematica dei comportamenti, dei risultati e delle competenze in azione che hanno portato a tali risultati. Il raggiungimento o meno di una buona performance dipende dalla presenza di una o più competenze e dalla loro attivazione o meno.
Un’azienda che intenda gestire le risorse umane, verificarne l’adeguatezza al ruolo e rilevare le eventuali necessità formative con un approccio per competenze, dovrà quindi costruire un proprio modello aziendale coerente con gli obiettivi, la struttura, i processi e le posizioni, che evolva con l’azienda e che permetta una valutazione sistematica e quanto più oggettiva.
Identificazione del modello aziendale di competenze
Un Modello delle Competenze aziendali è un set strutturato e coerente di informazioni (modello) che a partire dalla posizione organizzativa (descritta come attività, output di prestazione e responsabilità richiesti) identifica l’insieme dei comportamenti richiesti e attesi nell’adempimento delle mansioni collegate al ruolo.
E’ necessario identificare (mappare) le competenze, conoscenze ed abilità ottimali/ideali richieste alle persone in ciascuno dei ruoli previsti nell’organizzazione; definire i livelli attesi (rispetto ad una scala di misurazione predefinita) per ciascuna delle competenze previste nel ruolo; strutturare un metodo di rilevazione e valutazione efficace.
Poiché le competenze non sono osservabili in sé, ma solo se “in azione”, è fondamentale definire per ogni competenza/abilità gli indicatori comportamentali che indichino i “desiderata” di “come” in un determinato ruolo, deve essere fatto “cosa”. Ad ogni indicatore verrà poi associato il valore atteso (grading) in termini assoluti e un valore pesato.
In questa prospettiva, il valutatore osserverà quindi l’ “agito” per valutare il grading di competenza posseduta e messa in atto, e poter successivamente identificare strumenti/strategie per colmare eventuali gap rispetto all’adeguatezza al ruolo e/o valutare un eventuale passaggio di livello di responsabilità o di ruolo.
Il sistema di valutazione sarà tanto più efficace quanto più si riuscirà a ridurre la soggettività e a misurare ogni indicatore per mezzo di criteri condivisi, chiari e oggettivi.
Costruzione della scala con il grading per la valutazione
La scala da utilizzare per il grading dipende dalle scelte e filosofie aziendali, non c’è una regola univoca, ma di nuovo diventa fondamentale sceglierla opportunamente per far salvo il criterio di oggettività e equità della valutazione, per evitare eventuali distorsioni derivanti di abitudini o percezioni distorte. Ad esempio una scala di misurazione da 1 a 10 a cui non venga associato un chiaro descrittore del grading, rischia di richiamare il sistema di valutazione scolastico e quindi riportare ad abitudini personali consolidate derivate dall’esperienza individuale, permettendo un’approssimazione nella rilevazione e misurazione dei punti di forza e delle eventuali criticità.
Altro elemento da considerare nella scelta può essere l’ampiezza della scala: tanto più questa è ampia, tanto più, se ben costruita, darà una fotografia puntuale dell’adeguatezza al ruolo del singolo; tuttavia, come contro, potrebbe risultare di difficile costruzione e applicazione perché un’articolazione eccessiva rischia un effetto boomerang, cioè può produrre incapacità nel riconoscere il confine netto tra un livello e l’altro, e quindi indurre un’approssimazione per eccesso o per difetto.
Un’opzione interessante metodologicamente per evitare sia l’eccessiva pignoleria che l’approssimazione o la distorsione è:
a) innanzitutto definire i criteri che sottendono al grading
b) costruire una scala che agli estremi permetta una chiara rilevazione della assenza della competenza (0) o della presenza di una competenza consolidata e superiore (5/8…)
c) far sì che i valori all’interno del range perdano una connotazione positiva o negativa in senso assoluto, ma assumano significato in base al valore atteso richiesto dal ruolo. Es. potrei avere un livello atteso di Leadership = 1 e considerarlo positivo se in relazione al ruolo “capo turno”, mentre considerare lo stesso livello come inadeguato se rilevato in relazione ad un ruolo di “direttore generale di stabilimento”.