Realtà o Immagine della Realtà?
Non mi addentro nelle teorie filosofiche o scientifiche, né nella teoria fenomenologica o quantistica per dare supporto alle affermazioni che seguono, ma è certo che da millenni ci si pone la domanda su cosa sia veramente la REALTÀ.
Nonostante le mille ipotesi e/o evidenze, nessuno di noi può avere la certezza di sapere identificare in modo “oggettivo” e univoco un oggetto, una situazione, una sensazione, un fenomeno, la materia…, nemmeno se “tocco con mano” o se uso tutti i sensi nelle diverse combinazioni.

Gli stimoli esterni, i segnali sensoriali infatti vengono elaborati dal nostro cervello nelle aree corticali, ma acquistano significato solo una volta combinati e confrontati con i nostri ricordi, le nostre esperienze, le situazioni, le conoscenze.
Non possiamo dire quindi che esiste una REALTÀ oggettiva, ma piuttosto una RAPPRESENTAZIONE SOGGETTIVA di ciò che percepiamo generata guardando attraverso la lente delle nostre convinzioni, elaborata dalla nostra intelligenza emotiva.
Se pensiamo ad uno stimolo sensoriale, come un odore che proviene da una fonte reale e precisa, ma che non vedo, farò un’esperienza oggettiva che potrebbe dare un output molto diverso in base al contesto, alle emozioni che suscita, alla persona che la sperimenta. (vedi fig. sottostante “Interpretazione della realtà”).

Facciamo un altro esempio – Se affermo: “Che brutta giornata, … oggi!” è una comunicazione che porta con sé e trasmette un significato univoco?
Una frase semplice, comune che abbiamo pronunciato chissà quante volte per esprimere un significato preciso, manifestare un pensiero, descrivere un qualcosa da noi percepito.
- Cosa significa “brutta” per me?
- Da dove deriva questa percezione?
- Che pensieri, emozioni l’hanno prodotta e che effetti, risposte produrrà?
- Ha lo stesso significato che avrebbe avuto in un altro momento passato, o che avrà domani?
- È “brutta” perché mi aspettavo qualcosa di diverso?
- È brutta rispetto a… cosa?
- E se la guardasse un altro rispetto a me, sarebbe poi così brutta?

Anche se siamo convinti del contrario, non c’è una REALTÀ assoluta, inconfutabile e immutabile, ma tante nostre VERITÀ che influenzano e condizionano il nostro modo di agire:
- esiste la nostra realtà relativa, tangibile, provvisoria, percepita qui ed ora, a cui diamo credito più o meno automaticamente cercando e trovando conferme
- esiste la realtà desiderata, l’immagine ideale a cui aspiriamo
- esistono poi anche le verità e il percepito degli altri che non necessariamente coincidono con le nostre e con cui dobbiamo confrontarci e interagire
In questo sistema così complesso e che ci offre poche certezze, quello che dovrebbe farci riflettere è il principio per cui, se tutto dipende dalla percezione e dal significato che NOI attribuiamo a ciò che succede, allo stesso modo sempre NOI possiamo gestire e modificare in modo consapevole percezione e significati quando ci accorgiamo che non sono positivi o vantaggiosi.
Le nostre Verità e le Conseguenze
Riprendendo l’esempio di LAURA ROSSI (vedi Le nostre convinzioni) che di fronte ad una situazione da affrontare è convinta che “non ce la farà mai”, il fatto che si tratti di una lettura falsata della REALTÀ emerge in modo ancora più evidente.

L’idea che potrebbe non farcela è un’ipotesi riferita ad un possibile evento futuro molto probabilmente condizionata da esperienze passate, ma è solo un pensiero che se non confutato, scatena una serie di reazioni che fisiche, emotive e comportamentali che potrebbero effettivamente influenzare la performance.
E se poi le cose dovessero andar bene?
Beh! Senza mettere in discussione le “proprie verità” c’è il rischio che anche a fronte di un successo, di una performance superiore alle aspettative, la persona non riesca a consolidare una convinzione positiva, vantaggiosa.
Potrebbe addirittura pensare: “Guarda, ancora una volta sono riuscita a nascondere le mie lacune. Non si sono accorti che la mia è una conoscenza superficiale, se scavassero più a fondo…”, ritenendo che eventuali successi possano dipendere da fortunate condizioni esterne e non dalle proprie competenze.
Il fenomeno, conosciuto come Sindrome dell’Impostore, attiva un circolo vizioso che mina l’autostima; la persona sperimenta insicurezza, ansia, si concentra sul mettere in dubbio i riscontri positivi piuttosto che iniziare a contestare le proprie convinzioni negative, automatiche, sprecando inutilmente e poco efficacemente le energie di cui dispone.
La mente schiaccia rapidamente l’acceleratore sul pensiero negativo, e mette il freno a mano nell’attivare un pensiero o un’azione di contrasto.
Diventare consapevoli che il nostro modo di pensare influenza le emozioni, ci aiuta ad agire volontariamente e attivamente per sviluppare nuovi pensieri e comportamenti, più positivi e più funzionali al nostro benessere, ai nostri obiettivi e all’interazione con gli altri.
Se credo di non riuscire a fare una cosa, difficilmente raggiungerò un buon risultato (convinzione limitante), ma se credo di riuscirci è molto probabile che tu ce la faccia (convinzione potenziante).
“Che tu creda di farcela o meno, avrai comunque ragione” (Henry Ford)
Le energie che impiego a darmi ragione, per provare la veridicità delle mie convinzioni limitanti sono quasi le stesse che posso impiegare per metterle in dubbio; la differenza sta nel fatto che mentre credere alle nostre convinzioni limitanti viene spontaneo, esercitarci a metterle in dubbio, richiede una volontà e soprattutto mettersi in gioco per cambiare.
La bella notizia è che:
“Poiché tutto è un riflesso della nostra mente, tutto può essere cambiato dalla nostra mente” (Buddha)